Trovo che Elon Musk in Italia in coincidenza con la scomparsa di Cormack McCharty, l’autore di “Non è un paese per vecchi” sia un incredibile segno. Perché mi suggerisce il titolo su quanto è successo nelle brevissime vacanze romane del patron di Tesla, Space X, Boring, Neuralink, Twitter e uomo più ricco del mondo secondo Forbes.
Lo dico con dispiacere: la nostra attrattività per capitali stranieri è a zero se Intel sterza sulla Polonia o Byd guarda sicura oltre le Alpi per un inedito sbarco automobilistico cinese in Europa. Figuriamoci Tesla. E purtroppo la nostra lateralità ha una lunga storia.
L’Italia non è un paese per Musk. Meloni e Tajani hanno certo fatto bene a chiedere di investire da noi per la sua prossima Gigafactory, se l’hanno fatto, ma è facile sospettare che il peso specifico di Macron avrà la meglio. Per Musk, non digiuno di storia (“sono fan della storia”, ha detto al Tg1), l’Europa carolingia ha ancora un senso: se Europa sia, per cominciare meglio una fabbrica in Germania e una in Francia, unico asse che conta a Bruxelles nonostante i cigolii.
A Roma, Musk è piuttosto venuto per trovare una sponda politica in vista di uno scontro con la Commissione europea sul Digital Services Act in vigore dal 25 agosto, un codice di condotta contro la disinformazione che l’imprenditore ha deciso di non applicare a Twitter. In nome di un “free speech” da tradurre in faccio come mi pare, in sintonia con il pensiero di sovranisti come Meloni e Salvini.
Che però adesso sono al governo e hanno le mani un po’ legate, con doppia chiave a Bruxelles. Dove la premier, piuttosto che battersi per la “deregulation” chiesta da Musk (sue parole sempre al Tg1), mi sembra più impegnata a farsi accettare da un grande centro moderato cavalcando la vera eredità politica di Berlusconi. Per contare nell’Europa che conta senza essere costretta a fare abiure in casa sulla sua formazione post fascista, fin qui netta e coerente (con l’eccezione dell’anti-americanismo, non più praticabile).
Ma poi quali affari in Italia con il patron di Tesla? Se così fosse stato, a Musk avrebbero fatto incontrare non Tajani, mediatore politico, ma Urso ministro del Made in Italy o Salvini ministro di Infrastrutture e Trasporti. I quali, in genere presenzialisti e ciarlieri, questa volta non si sono né visti né sentiti.
La controprova che purtroppo l’Italia non è un paese per Musk – e limitiamoci qui all’automotive – sta nell’attivismo di piccolo cabotaggio di Salvini. Il quale ha capito che nessuno verrà a investire da noi e, vivendo di politica, punta alla pancia. Ecco allora l’annunciata fine del superbollo per chi ha auto con oltre 250 cavalli di potenza, il possibile rialzo dei limiti di velocità in autostrada, il no quasi isolato al bando delle endotermiche dal 2035, l’immaginifico Ponte sullo stretto.
A onor del ministro, deve però aver letto con attenzione il libro di McCharty e preso le contromisure: “Non voglio fare nessuna promessa, disse. E’ così che si finisce per farsi del male”.
[…] per una nuova Gigafactory da costruire in Europa dopo quella tedesca. L’avevo scritto che l’Italia non è un Paese per Musk, ma avere un governo pure uccellato sul Colosseo è […]