Di Honda e Nissan e della fusione annunciata avrete già letto più o meno tutto, tranne ciò che Toshihiro Mibe, ceo di Honda, ha sussurrato all’orecchio di Makoto Uchida, ceo di Nissan. Non lo so neanche io, come non sappiamo ancora – dopo un ventennio – cosa Bob abbia sussurrato all’orecchio di Charlotte alla fine di Lost in translation. Ma sono certo che Honda e Nissan sterzino sulla fusione perché entrambi lost in transition. Dall’endotermico all’elettrico, dall’elettronica al software. Da harahiri la seconda, per dei giapponesi. E in più con il disonore di essere stati sorpassati dai rivali cinesi, con cui nel secolo breve hanno avuto storiacce di guerre e soprusi.
Honda e Nissan convolano a nozze non in nome della fluidità contemporanea ma del patriarcato, perché sarà Honda a portare i pantaloni, come si diceva una volta. Nissan vende meno, perde soldi e promette guai con 9mila posti di lavoro da cancellare. Nella primavera del 2026, quando i promessi sposi prevedono di salire sull’altare, Mibe starà per compiere 65 anni, età da Fornero a casa nostra ma un giovincello per la cultura giapponese. Sarà lui al volante, sulla base di una maggioranza Honda nel board dei direttori. A Nissan andrà la presidenza, un po’ alla John Elkann in Stellantis.
Nota a margine. Di Mibe, amministratore delegato di Honda dal 2021, avevo già scritto su Repubblica più di un anno fa che era un manager da tenere d’occhio: sovvertendo la cultura aziendale giapponese, aveva aperto da subito alla possibilità anche di scambi azionari con altri produttori e non solo di auto, come la joint venture con Sony. Con Nissan tutto resta in casa e questo dovrebbe essere un vantaggio per il processo di fusione, considerando che non ci saranno problemi né di culture altre, né di comprensione linguistica tra i partner, cosa spesso lamentata con (e da) interlocutori stranieri, a volte chiamati un po’ sprezzantemente gaijin.
Eppoi, è noto, in azienda i giapponesi vogliono comandare da soli, un po’ più degli altri se si guarda al tradizionale monocolore dei board. Andando a memoria, viene in mente la vicenda Toyota di Jim Press, l’americano ammesso al vertice della multinazionale ed espulso in un battito di ciglia nel 2007, dopo quasi 40 anni di onorato servizio per il costruttore jap.
Per Nissan, la fusione potrebbe essere un modo per chiudere il rapporto con Renault, nonostante l’entente cordiale per l’arrivo a Parigi di Luca de Meo. L’Alliance fu subita come un’onta fin dal 1999, quando i francesi si presero il colosso giapponese sull’orlo della bancarotta. La fusione Honda-Nissan è da “panic mode”, ha commentato Carlos Ghosn, l’invasore di Renault mandato in Giappone e poi fatto fuori dai dirigenti di Nissan. Ghosn lo ha detto dal suo esilio dorato libanese in un paese devastato dalla guerra: c’è dell’ineleganza, ma Nissan potrebbe davvero voltare pagina.
A convincermi che, sotto la pressione dei costruttori cinesi, la fusione fra Honda e Nissan sia lost in transition è una slide che mi fa notare un amico. La fonte è il Cam, Center for automotive management, un istituto indipendente tedesco, autore di uno studio intitolato “Cumulative Bev innovation strength of global automakers 2012-2023”.
Nella classifica del 2023, dei 25 partecipanti composti da un solo Top Innovator, tre Fast Follower, otto Follower, cinque Newcomer e otto Laggard, tra quest’ultimi ci sono Honda al 24esimo posto e Nissan al 21esimo (Toyota è pure lì, al 19esimo). Giapponesi tutti “ritardatari” su elettromobilità e software? Il trionfo del non detto. Come Lost in translation.
[…] nel campo avverso di Carlos Tavares. Per sua insperata fortuna, presto sarà lasciato solo anche da Nissan, sulla via della fusione con Honda. Certo, gli rimangono i soci cinesi di Geely e la possibilità di cercare migliori compagnie, una […]