Domenica 15 giugno, di prima ora, scorro svogliatamente LinkedIn, mi cade l’occhio sul post di un direttore marketing dell’automobile: “… Marketing is a french thing”. Mah, sarà, e passo avanti. Poi, nel tardo pomeriggio, arriva la notizia che (quasi) nessuno attendeva: Luca de Meo lascia Renault per Kering. E di lì inizio a ricevere messaggi di commento tra i più disparati.
“Uscita in grande stile “, “i nodi venivano al pettine?”, “hai letto commento su Linkedin di Gian Luca Pellegrini?”. Vado a leggere: tesi come sempre puntuale, stile brillante, in continuità con l’idea che la politica europea stia deliberatamente uccidendo l’auto. De Meo, dopo aver lottato con tutta la sua energia, avrebbe gettato la spugna, perché ha vinto l’ideologia, e non resta che andare via. Una narrazione che forse de Meo potrebbe usare, politicamente assai spendibile, ma no, non mi convince.
Qui su Carblogger leggo invece del “treno di Luca de Meo” di Francesco Paternò con il suo commento “bulgaro” (l’attributo è dell’autore), che coglie più nel segno quando scrive “Bonjour richesse”… Ma se tale prospettiva è corretta, credo che denaro e motivazioni personali spieghino solo in parte l’uscita di scena di de Meo: c’è molto di più.
C’è il colpo di teatro, c’è il compimento di un percorso fatto sì di successi, ma anche di tanti passaggi da un’azienda ad un’altra, da un incarico prestigioso a quello successivo, in un crescendo di visibilità spesso amplificata dalla benevola stampa italiana – forse meno da quella francese, e ancora meno dalla politica (l’audizione all’Assemblée Nationale è stato forse uno dei suoi pochi passaggi a vuoto). Un percorso costruito soprattutto su una immancabile qualità, quella del “marketeer” di razza, come nessun altro nell’auto.
Credo che la sua campagna “Renaulution”, solo per fare un esempio, resterà nella memoria (corta) di noi peripatetici dell’auto, più di molti re-naming che via via ha dato ai modelli della gamma – che resterà di Rafale, o di Austral? – e dell’(in)successo della ottima Renault 5 elettrica. Difficile ripetere il successo della Fiat 500 di vent’anni fa, malgrado la formula utilizzata sia la stessa.
Il punto è proprio questo: la “Renaulution”, quale piano industriale serio e concreto, avrebbe dovuto portare a fare crescere il gruppo oltre i confini europei – in questo senso ha forse ragione Pellegrini, de Meo era un ceo regionale, deluso dalla politica industriale dell’Unione europea. E invece è restato quel che era: certo, un gruppo più sano nei conti, ma senza la taglia per competere con i giganti globali. Un gruppo che ha (s)venduto anzi tempo i “cavalli’ per investire sugli “ampere” (ah il fascino della Borsa!), con il suo “cash cow” o la gallina delle uova d’oro che è Dacia, capolavoro del grande Louis Schweitzer, quasi 30 anni fa. E allora, ancora un colpo da maestro, con un tempismo perfetto, di questi tempi forse unica vera cifra del marketing (certamente di quello personale).
Quando iniziavo a frequentare questo mondo, un brillante manager, genio e tanta sregolatezza, mi disse: “Marketing is all about consistency “. Dopo quasi 30 anni, e la lezione di de Meo, penso che si possa invece dire che “marketing is all about timing”.
Penso al post su LinkedIn di quel direttore marketing e mi convinco ancora di più che “marketing is an Italian thing”. Anche in questo, si potrebbe dire “Ritals, pardon, Italians do it better”. E allora “merde!”, come si dice in Francia per in bocca al lupo, Monsieur Luca!