“Ho dato, no?”. Luca de Meo lascia dopo 33 anni nell’industria dell’auto, di cui gli ultimi 5 da amministratore delegato del gruppo Renault. Frequentandolo professionalmente da circa vent’anni, la notizia mi ha stupito: contratto rinnovato di recente, molto altare e poca polvere, “rital” di successo in quella Parigi dove un tempo “ritals” in argot venivano chiamati con antipatia gli italiani di origini meridionali.
Mi ha anche stupito che de Meo vada a dirigere Kering, il gruppo francese del lusso, secondo soltanto a LVMH. Perché il mondo dell’auto, almeno ai piani più alti, è storicamente un mondo chiuso: da qui non si cambia facilmente settore merceologico. L’automobile è una specie di lasciate ogni speranza o voi che entrate, tanto più – pensavo – per uno che ha cominciato quasi in pantaloni corti. Kering è in ristrutturazione da un paio d’anni, dove de Meo per altro troverà altri “ritals” che contano. Il gruppo, come il rivale, ha qualche problema di fatturato e di marketing soprattutto nell’area Asia-Pacifico, che per il lusso – almeno fino ad ora – vale un po’ come l’America per l’auto.
In brevissimo, tanto per dare a Luca quel che è di Luca, il suo bilancio in Renault è per me positivo. Direi altare per i conti rimessi in carreggiata, per il solido ancoraggio a Geely (uno dei primissimi colossi cinesi), per aver tirato dritto sull’auto elettrica ridandoci indietro alcuni miti come la Renault 5. Direi invece polvere per Ampere, la divisione elettrica scorporata dal gruppo con cui andare a caccia di nuovi capitali, fermata sulla soglia dell’esordio in Borsa con figuraccia, perché non era proprio aria.
Di de Meo, però, ciò che più mi ha stupito è stato leggere alcune motivazioni che sarebbero dietro la sua decisione di abbandonare il settore.
In sintesi: de Meo esce dall’auto perché non ci crede più. Per colpa di una politica comunitaria infarcita di Green Deal e di cannonate alla libertà di scelta che starebbero distruggendo l’industria europea. Game over. Ci starebbero pure tanti auguri ai kamikaze che ci credono ancora, guardando ai suoi parigrado Antonio Filosa o Ivan Espinosa, che hanno appena accettato di prendere il volante delle malmesse Stellantis e Nissan nonostante i presunti tentativi di suicidio assistito di Bruxelles. E la crisi globale dei dazi, le guerre in moltiplicazione, etc etc.
De Meo santo subito, ragionando in questi termini? Ho l’impressione che la sua inattesa uscita abbia indotto qualche transfer. Se così, allora ne avrei uno anch’io: de Meo lascia l’auto per non decidere se far costruire a Renault droni militari per l’Ucraina, come da richiesta del ministero della Difesa francese, espressione dello stato azionista del gruppo automobilistico. Renault va alla guerra? Jamais. Nell’auto, a parte le riconversioni industriali nel periodo bellico della prima metà del 900, sarebbe una prima volta in occidente. Che si sappia, a parte i sempre sospettabili cinesi, oggi solo le Big Tech americane lavorano per l’industria difesa, anche se Google nel 2019 dovette rinunciare al progetto Maven per il Pentagono dopo la clamorosa protesta di oltre 3mila dipendenti.
Transfer a parte, credo che de Meo lasci l’auto per motivi tradizionali: soldi, ambizione, sfida, tempo che passa. Un lusso necessario? Qualcuno sostiene che fosse il suo sogno nel cassetto dimostrare di essere un manager “globale” e non solo dell’auto, ma si sa che i sogni del cassetto sono felicemente tutti uguali e ogni cassetto può avere sogni infelici a modo loro.
Luca de Meo se ne va perché semplicemente è passato un bel treno che ha deciso di prendere. Bonjour richesse et bon voyage.
PS Chi prenderà il suo posto in Renault? Potrebbe essere scelta interna, ma il mio primo pensiero cattivo è stato un altro, la sparo: Maxime Picat, il presunto sconfitto da Filosa nella corsa a numero uno di Stellantis. Francesissimo, capace, desideroso di rifarsi (bello fare sto’ lavoro, eh?)
[…] su Carblogger leggo invece del “treno di Luca de Meo” di Francesco Paternò con il suo commento “bulgaro” (l’attributo è dell’autore), che coglie più nel segno […]