Le clamorose dimissioni di Ferdinand Piëch da presidente del gruppo Volkswagen pongono la questione della governance delle aziende automobilistiche, un settore che sembra sfuggire al principio di separazione tra proprietà e gestione. Uno dei cardini dell’economia capitalista.
Come sappiamo, il 78enne patriarca della famiglia Piëch/Porsche, che con il 50.7% detiene la maggioranza dei diritti di voto, è stato costretto a lasciare dopo che autorevoli membri del supervisory board di Volkswagen si sono espressi a favore dell’amministratore delegato Martin Winterkorn. Con Piëch si è dimessa dal board anche la moglie Ursula, la cui nomina aveva suscitato a suo tempo non poche perplessità.
Ma Volkswagen non è certo un caso isolato di commistione tra proprietà e gestione.
Basti pensare al gruppo Hyundai/Kia, dove il 77enne presidente Chung Mong-koo, nonostante i problemi avuti in passato con la giustizia coreana (è stato condannato per appropriazione indebita e violazione degli obblighi fiduciari, ma in seguito perdonato dal presidente Lee Myung-bak) fa il bello ed il cattivo tempo, e non ha alcuna intenzione di passare il timone al figlio Chung Eisun, 44 anni. Ci sono voluti ad esempio più di sei mesi per nominare un nuovo COO europeo per l’Europa, e la scelta è caduta inevitabilmente su un candidato interno con esperienza limitata di gestione del business.
Tra i grandi gruppi, sembrerebbe far eccezione Toyota, dove la famiglia nominalmente possiede pochissime azioni. Ma è così in realtà che in Asia si governa: di fatto il 59enne Akio Toyoda, appena nominato presidente nel 2009, ha piazzato i suoi uomini più fidati, tutti provenienti dalla produzione (tra cui l’ex capo dell’Europa Didier Leroy, di recente promosso Executive Vice President), al vertice di tutte le regioni del mondo.
Se della Ford abbiamo già detto, General Motors, dopo la vendita da parte del governo di Washington dell’ultima tranche di azioni risalenti al salvataggio post-bancarotta del 2009, lo scorso mese ha dovuto riacquistare 5 miliardi di dollari di azioni proprie. Tutto per evitare una possibile battaglia legale con l’investitore Harry J. Wilson, che farà retromarcia sulla richiesta di ottenere due poltrone nel cda del colosso automobilistico di Detroit.
Pensavamo che Psa, dopo l’ingresso nel capitale del governo francese e dei cinesi di Dongfeng (ciascuno con il 14.1%) e la perdita del controllo da parte della famiglia Peugeot, fosse saldamente nelle mani del Président du Directoire Carlos Tavares, che in un solo anno ha raggiunto risultati eccellenti. Così è, ma potrebbero esserci novità a breve nella composizione del board. Nel senso che dopo Thierry, da sempre contrario a nuovi soci, potrebbe lasciare anche Robert Peugeot, membro del Conseil de Surveillance e a capo della holding di famiglia FFP che detiene, secondo quando dichiarato, il 10.8% di Psa.
Ci sono poi i supermanager, primi fra tutti Carlos Ghosn di Renault – Nissan e Sergio Marchionne di FCA, che godono di potere assoluto nella gestione delle rispettive aziende. Al punto che lo stato francese, che possiede il 15.01% di Renault, ha deciso di aumentare la propria partecipazione al 19.74% in modo da mantenere il proprio potere di voto e bloccare così il piano di Ghosn di chiamarsi fuori dalla cosiddetta legge Florange (introdotta dal governo del presidente Hollande), che raddoppia i diritti di voto per le azioni detenute per più di due anni.
La partecipazione di Sergio Marchionne nel capitale FCA è salita quest’anno a 14,435 milioni di titoli, pari a circa l’1%: agli attuali prezzi di borsa ha un valore di oltre 200 milioni di euro e ne fa il primo azionista individuale. A tal proposito, Marchionne ha di recente dichiarato: “La mia capacità di influenzare il minimo livello di attività in Fiat come azionista è zero”. D’altra parte, verrebbe da dire, la sua idea di governance è semplice: nessun condizionamento, né da sopra, né da sotto. E rimane comunque la curiosità: cosa farà con tutti quei soldi quando nel 2018 lascerà FCA?
Resta Bmw, controllata dagli eredi Quandt con il 46% delle azioni. Lontani dalle stanze dei bottoni, i Quandt hanno scelto di delegare la gestione interamente al board guidato da Norbert Reithofer, che il 13 maggio prossimo verrà rimpiazzato dal 49enne capo della produzione Harald Krueger. Bmw sembra un modello, visti i risultati: per il quinto anno consecutivo, il 2014 si è chiuso con un bilancio record e con la conferma di una leadership mondiale nel premium.