Giovedì scorso sono stato a Madrid dove la Seat in trasferta ha presentato un ottimo bilancio 2017.  Ho incontrato Luca de Meo, presidente del marchio spagnolo controllato dal gruppo Volkswagen, lì arrivato nel novembre del 2015 direttamente dal board Audi, nel pieno della bufera del dieselgate. A sua insaputa, si discusse se fosse stata una promozione o un siluramento. Scrissi che de Meo fu riprotetto alla periferia dell’impero tedesco in quel momento sotto assedio.

Oggi a Barcellona è in carriera mentre a Wolfsburg la settimana scorsa c’era la polizia, effetti collaterali di uno scandalo che sembra non finire mai. Magari il motore diesel finisce prima delle inchieste, chissà.

Molto prima della Seat, con de Meo ci siamo conosciuti se ricordo bene nel 2004 a Torino, c’era Marchionne. Incontrai Luca quale nuovo direttore marketing di Lancia insieme a Fabrizio Longo direttore generale del marchio. Un incontro curioso, ristretto, svoltosi con modalità e linguaggio inconsueti per la Fiat dell’epoca.

Marchionne non l’aveva ancora rivoltata, salvandola dal baratro. In quegli anni l’amministratore delegato del primo gruppo industriale italiano privato era perfino in luna di miele con la Fiom, all’Unione industriali diceva che il problema in azienda non era certo quel 6 o 7% del costo del lavoro a pesare sul prodotto, la sera – si narra – gli capitasse di giocare a scopone con il segretario dei DS Fassino e il sindaco di Torino Chiamparino. Tutto un altro mondo.

Pensai che i due giovani manager non sarebbero durati in un ambiente ancora sabaudo. E invece lì sono andati bene avanti, e poi altrove. Anzi, in questo più che decennio Luca è stato definito l'”enfant prodige” dell’auto: responsabilità crescenti, riconoscimenti, libri, allori. Mai però un contatto (pare) con Marchionne dopo il suo passaggio al gruppo Volkswagen nel 2009.

Il prossimo 13 giugno de Meo compie 51 anni. Non è più “enfant” – chissà perché una volta si diceva crisi di mezza età a 50 anni quando le aspettative di vita erano ben minori di adesso, io sono rimasto fermo a Dante e al suo più precoce “nel mezzo del cammin di nostra vita” – ma è ancora “prodige” per ciò che ho potuto capire su quanto sia avanzata l’integrazione del marchio nel gruppo Volkswagen, che sarà ancora maggiore con il processo di elettrificazione a partire dalla prima berlina a batteria Seat nel 2020.

De Meo, va detto, si è trasferito da Ingolstadt a Barcellona con in tasca 3,3 miliardi di investimenti fino al 2019 da parte del gruppo. Mica male. Ma ora sentir parlare con soddisfazione dei risultati dal direttore finanziario Holger Kintscher, seduto alla destra del suo capo – tedesco perché alla cassa di un gruppo tedesco c’è sempre un tedesco – non è roba da tutti i giorni.

Altra cosa che mi ha fatto effetto è stato l’accento posto dal manager italiano sui rapporti con i dipendenti Seat (cui quest’anno va un bonus di 700 euro per i risultati raggiunti, quasi il doppio di quello del 2016) e con il sindacato. Rapporti buoni dopo anni difficili, in cui il marchio perdeva sempre soldi e a Wolfsburg qualcuno pensava anche di farla finita a Martorell. Un segnale credo positivo è che, nel board di Seat, alle risorse umane è andato dal gennaio 2017 Karlheinz Blessing, uomo nato nel sindacato tedesco IG Metall ed ex dirigente della Spd.

Insomma, tutto sembra girare alla Seat: piazza bene quasi tutti i suoi modelli, perfino la Leon berlina (la più venduta) che appartiene al quel segmento C in Europa sotto attacco di suv e crossover B e C, il cash flow è aumentato del 24,4%, il claim della giornata a Madrid è stato “We are from Barcelona”, cioè catalani ma spagnoli da 1% del Pil nazionale.

Vai a capire cosa farà da grande però uno che è “prodige” e non più “enfant”. Ci ha provato un collega tedesco, che ha chiesto a de Meo se Marchionne lo avesse invitato l’1 giugno al Balocco come suo possibile successore. Nessun prodigio: sto bene dove sto, etc etc. Una risposta da manuale.

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