Alfa Romeo, un’ossessione. “Hai letto Automobilwoche?“, mi scrive da Monaco un amico che sa che non so il tedesco. “Ma sì, hai letto quel che dice Michael Jost, il capo delle strategie del gruppo Volkswagen?”. Insiste, e allora vado a sbirciare la traduzione in inglese sulla rivista-sorella Automotive News Europe.

Che avrà mai detto Jost? Nell’ennesima rimessa a fuoco delle mission dei 12 brand in portafoglio del gruppo, il manager tedesco spiega – tra l’altro – che ora e nel prevedibile futuro Seat “potrebbe rappresentare sempre più auto emozionali, come per esempio le Cupra”.

Ah vabbè, rispondo all’amico, stai per caso pensando che vogliono far fare un’altra Alfa Romeo a Luca de Meo? “Ecco, meno male che non ti sei distratto con quella storia divertente dei ritals per Renault… Ma Seat non potrà mai essere un concorrente di Alfa: non bastano de Meo, Cupra ed un’anima latina. A quel punto, meglio comprarsi Alfa, che tuttavia toglierebbe spazio ad Audi. Piuttosto è interessante il ruolo attribuito a Seat in Cina”.

Che ricicciamento. Era la fine del 2007 quando de Meo fu spedito a guidare l’Alfa (oltre che il marketing di gruppo), ma poi da lì spiccò il volo a Wolfsburg all’inizio del 2009 mentre Ferdinand Piech  faceva arrabbiare quelli di Torino, ammiccando pubblicamente a un possibile acquisto del marchio italiano. Un giorno Sergio Marchionne la chiuse lì: finché sarò vivo, mai l’Alfa Romeo sarà venduta al gruppo Volkswagen.

Oggi sono scomparsi sia Piech che Marchionne e l’Alfa Romeo naviga sotto la linea di galleggiamento. Ma mica mi metto a chiamare de Meo per chiedergli un commento su Jost. Tempo perso. Immagino cosa mi risponderebbe: guarda che con Seat vendo già più di cinque volte l’Alfa Romeo. Bello vincere facile, direbbe il claim.

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