Il rischio calcolato nella fase 2 di John Elkann, presidente di Fiat Chrysler, vale per lui quasi come una prima passeggiata al mare per noi. La sua fase 2 non è la nostra, che torniamo alla vita quotidiana nell’incertezza del fantasma del virus che si aggira: la sua è quella dell’avvicinamento alla fusione con Psa, dove è una certezza presentarsi all’appuntamento con i francesi con “un certo delta”, come mi ha detto un amico che lavora nel gruppo. Per il quale ogni azione viene mirata, il resto è marketing o fumo negli occhi.

In piena pandemia, Elkann fa partire due messaggi al Paese: da una parte spot patriottici (e ben fatti) su quanto sia italiana all’improviso Fiat Chrysler, dall’altra la richiesta di un prestito da 6,3 miliardi garantito dallo stato per le sue attività italiane, stravolte dagli effetti della pandemia come avvenuto in tutto il Paese. I sindacati sono con lui, fatto comprensibile.

Bei soldi, molto meglio che incentivi pubblici alla rottamazione, pochi spiccioli e per tutti. I quali per altro non stati ancora dati né in Italia né altrove. Segno che per l’auto l’aria che tira è un’altra, se non l’opposto di quanto avvenne nella crisi del 2008 quando nel mondo fu l’unico settore salvato insieme alle banche.

Il prestito garantito vale così tanto che Elkann fa cancellare 1,1 miliardi di dividendo ordinario per il 2019 proposto da Fca: è il prerequisito numero uno per accedere ai 6,3 miliardi di liquidità aggiuntiva. Alla cassaforte di famiglia, la Exor, la cosa costa circa 330 milioni di mancati introiti. Lacrime e sangue, tanto più che la sua famiglia numerosa aveva appena messo via i fazzoletti per la vendita saltata di PartnerRe, la sua società di riassicurazione valutata 9 miliardi alla vigilia della tragedia del virus. Da piangere davvero.

La politica è però il cuore del rischio calcolato di Elkann. Da noto appassionato di giornali, credo intuisse che Pd e 5 Stelle, cioè i partiti della coalizione di governo, lo avrebbero accusato di cercare aiuti a Roma quando il gruppo ha sede legale ad Amsterdam e sede fiscale a Londra; così come avrà ripetutamente letto che il premier Conte giocherebbe da tempo una sua partita politica personale.

E’ quanto basta. Nel giro di poche ore, Conte scarica Pd e 5Stelle e dà via libera: la richiesta di Fca rientra nelle regole del decreto, dice, se poi è andata all’estero come altri il problema è della legge italiana che deve rendere più attraente il nostro Paese, su questo c’è da lavorare “nel prossimo decreto semplificazione”.

Insomma: sicuramente Elkann non è Richard Branson, il miliardario fondatore della Virgin con sede spostata in una sua isola dei Caraibi, che con la compagnia a terra per il virus si è ricordato di essere inglese chiedendo aiuto al governo di Londra e ricevendo un no secco.

Elkann non è nemmeno Marchionne, grande cacciatore di aiuti pubblici dagli Stati Uniti alla Serbia ma mai in Italia, dove si è sempre accontentato di cassa integrazione in deroga come quella degli altri, sia prima che dopo dopo aver spostato la sede legale del gruppo ad Amsterdam, la fiscale a Londra e quella operativa ad Auburn Hills in Michigan.

Elkann è il top manager cui resta solo di giocarsi tutto nella partita con Psa, guidata da Carlos Tavares che sarà poi al volante del nuovo gruppo con maggioranza francese in cda. Il prestito di 6,3 miliardi può aiutare non poco gli italo-americani: vuoi mettere presentarsi a Parigi sulle proprie gambe invece che barcollanti?

“In ogni caso, fonti del Tesoro fanno sapere come ci sia fiducia sul fatto che non ci siano problemi occupazionali dopo l’operazione”, recita una Ansa dell’1 novembre scorso su indicazioni del ministero che “rivelano” di una telefonata fra Elkann e il ministro Roberto Gualtieri (Pd) di plauso all’intesa con Psa.

Da tenere a memoria, perché sul futuro non si sa mai.

ps andando a ritroso, Marchionne si era pure liberato della partecipazione Fca nel gruppo del Corriere della Sera mentre Elkann si è comprato il gruppo di Repubblica e con esso si è ripreso la Stampa, il giornale di famiglia. Dove ha nominato come direttore un giornalista serio che a suo tempo su Repubblica aveva criticato duramente alcune scelte di Marchionne. A Parigi direbbero: tout se tient.

@fpatfpat

Commenti
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    Eccellente articolo come sempre.
    Non sapevo di Branson, esempio illuminante. Credo purtroppo che la bizantina politica italiana fara’ presto a dimenticare: il prestito verra’ concesso e quando si arrivera’ al dunque le fabbriche da chiudere saranno solo da un certo lato delle Alpi …
    D’altronde un decreto fatto coi piedi e pieno di buchi consente legittimamente questo ed altro e non solo a FCA.
    Altro che sede legale in Italia, credo che possiamo allegramente scordarcelo. D’altronde con la memoria da pesce rosso della nostra politica (e della cosiddetta opinione pubblica) tutto passera’ senza problemi, dopo qualche inutile passaggio piu’ o meno polemico nelle sedi istituzionali. E adesso mi voglio divertire a vedere (ma non ci vuole un mago) la posizione della nuova Repubblica, in questi giorni sul tema…

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    Ha fatto quello che i suoi antenati hanno fatto da sempre: privatizzare gli utili, collettivizzare le perdite e mendicare SEMPRE denaro dallo Stato. Se li faccia dare dagli olandesi i soldi. O dagli inglesi. Vergogna. Se l’Italia è ridotta com’è, e anche per queste zecche. Basta vedere il bel laovor fatto a Repubblica.

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