Nel 2020 le fabbriche Fca in Italia hanno sfornato 717.636 veicoli (furgoni compresi) contro gli 818.880 del 2019. Il calo è stato del 12% circa, ma poiché alla fine del primo semestre la produzione era precipitata del 35% rispetto allo stesso periodo del 2019 si può dire che negli ultimi sei mesi in qualche modo l’industria italiana dell’auto ha dato un buon segnale di vitalità.
Il biglietto da visita con il quale Fca Italy si presenta al nuovo boss di Stellantis, Carlos Tavares, è comunque striminzito.
Metterla a soqquadro come ha fatto in 14 anni Sergio Marchionne non è stato inutile, ma non è bastato. Le fabbriche sono state riossigenate con l’export verso gli Usa (100/150.000 Renegade, Alfa e Maserati attraversano l’Atlantico ormai da anni). Sono state rimesse in piedi come capacità manifatturiera (Melfi sforna 400 mila pezzi con una produttività da Bassa Sassonia). E hanno riacciuffato la capacità di progettare macchine belle e piacevoli da guidare come la Giulia e la Stelvio.
Uno sforzo enorme, ma i muscoli del sistema industriale dell’auto italiana sono rimasti deboli. Restano abissalmente lontani i 5 milioni di pezzi “made in Germany” ma anche i 2,5 milioni della Spagna, Poi anche Repubblica Ceca e Slovacchia sono riuscite a crearsi una rete manifatturiera più robusta della nostra.
Non solo. Fca Italy (diversamente da Fca Emea che comprende anche le attività in Polonia, Serbia e Turchia) resta in perdita. Secondo i calcoli di Mediobanca, il rosso è stato circa 1.250 milioni nel 2018 e di 350 nel 2019.
Tavares, esattamente come Marchionne, non è uno capace di nascondere la polvere sotto il tappeto. Dunque, per le fabbriche automobilistiche italiane, dalle cui fortune dipendono 50mila dipendenti italiani diretti di Fca e circa il 50% dei 200.000 lavoratori delle 2.159 aziende italiane della componentistica, sta per aprirsi una fase di grandissime novità.
Sono possibili chiusure? Quest’anno la capacità produttiva degli stabilimenti italiani è scesa sotto quota 50%. Ma la media non dice nulla. Melfi, Pomigliano (Panda ibrida e da settembre Alfa Tonale) e la Sevel (Ducato) vanno come treni. Cassino invece è ridotta al lumicino e attende la Maserati Grecale come una manna dal cielo. Alle tre fabbriche Maserati (due a Torino e una a Modena) sono stati destinati centinaia di milioni per l’elettrificazione dei futuri modelli del Tridente.
Dunque l’Italia non è un deserto produttivo e comunque non c’è un modello Fca fatto in Italia che si sovrappone a quelli di Psa. Né il manager franco-portoghese è tipo da mettere gli stivali sulla scrivania.
Dopo l’acquisizione di Opel, Tavares ha visitato tutti gli stabilimenti del costruttore ex-Gm, ha chiesto anche in modo spiccio negli stabilimenti spagnoli un aumento della produttività contrattato con il sindacato in cambio di investimenti, e ha avviato un lavoro certosino di chiusura di rami secchi (un centro di ricerca in Austria, alcune produzioni in Gran Bretagna, uffici semivuoti in Germania), senza alzare troppa polvere e mirando ad una generale riduzione dei costi. Il risultato è stato strepitoso: nel 2019 Opel ha assicurato margini di oltre un miliardo dopo vent’anni di rosso.
La storia non si ripete mai, ma con la nascita di Stellantis più che le fabbriche sembrerebbero correre qualche rischio gli uffici italiani. I segmenti più “border line” della FCA italiana sembrano concentrati a Torino, fra i 7.500 dipendenti degli “Enti Centrali” che sono un po’ il cervello di quello che era l’universo Fiat e che assicurano servizi di progettazione, di rielaborazione dei processi di manufacturing, di marketing e di gestione della contabilità. Qui emerge qualche doppione con la struttura dirigenziale di PSA, tutta concentrata sull’Europa.
L’ingresso in Stellantis comunque non può che far bene alla struttura produttiva Fiat-Fca. Finalmente ciò che resta della storia industriale di Fiat trova un punto di riferimento stabile, con spalle capienti e non deve più dipendere dai dollari americani come è stato con Marchionne. Finalmente le capacità progettuali e manifatturiere italiane potranno confrontarsi con un’altra rete europea portando in dota la positiva esperienza fatta in America dove gli stabilimenti Chrysler sono stati ammodernati e molto migliorati non imponendo cultura e processi produttivi “made in Italy”, ma adattando le esperienze positive fatte in Italia a partire dalla rinascita della fabbrica di Pomigliano, trasformata dal peggiore impianto europeo in uno dei più produttivi.
Non a caso tutti gli stabilimenti Fca del mondo sono valutati secondo un unico parametro di efficienza interna costruito intorno al metodo di derivazione nipponica, il World Class Manufacturing. Difficilmente Tavares smonterà un marchingegno così strutturato.
Anche Psa ha i suoi guai. Anche le sue fabbriche segnalano un eccesso di capacità produttiva. La produzione “made in France” è in caduta libera a favore di quella in Spagna, Marocco o Slovacchia. E comunque i principali stabilimenti Psa si trovano fuori dai confini francesi. Paradossalmente Tavares potrebbe puntare a saturare gli impianti francesi sfruttando meglio marchi Fca che la debolezza della rete commerciale europea di Fiat non riusciva a far decollare: Jeep, Alfa, Maserati, alcuni segmenti del marchio Fiat.
Jeep copre appena l’1% del mercato europeo contro il 4% di quello Usa e addirittura il 6% di quello brasiliano. In teoria c’è spazio per crescere, dunque. Vedremo se il nuovo generale deciderà di attaccare e quali truppe deciderà di gettare in battaglia e, soprattutto, se saranno italiane.
[…] perché mi preoccupo della parte rimasta di Stellantis, fatta di fabbriche italiane, di 50mila lavoratori e di marchi che hanno fatto nel bene e nel male parte della nostra […]