Mettetevi nei panni di Carlos Tavares, ceo di Stellantis, fresco di fusione fra Psa e Fca. E pandemia, inedita crisi dei chip e prezzi di energia e materie prime alle stelle. Tutto in un solo anno. E poi pensate alle liturgie del Quirinale, a un governo con Draghi o senza Draghi, al Financial Times che un giorno vuole Draghi qui e un altro lì.

E’ lo stesso (ancora) governo cui Tavares ha chiesto poco meno di un anno fa: quanto mi date per fare una gigafactory di batterie per auto elettriche a Termoli? In Francia e in Germania per due fabbriche di questo tipo saranno investiti complessivamente 5 miliardi.

Mettetevi nei panni di Tavares, che a fine giugno insieme al presidente di Stellantis John Elkann incontra il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, dopo almeno altri cinque incontri in pochi mesi tra le parti a livelli appena inferiori, e dice: entro il 2021 ci fate sapere la vostra decisione? Grazie.

Così, il 10 luglio tre fonti governative anonime spifferano alla Reuters (dire a nuora che suocera a Parigi intenda): 1) il governo italiano pensa di mettere su Termoli 600 milioni da stornare dal piano Pnrr già inviato a Bruxelles in aprile 2) il governo italiano conta anzi di arrivare per Termoli a “oltre 1 miliardo” con l’aiutino di imprecisati partner “industriali e finanziari”.

Rassicurante, Draghi è forte, il Pil italiano sembra quasi volare. Però passa Capodanno, Omicron avanza ma solo quello.

Che fa Tavares? Il 5 gennaio dà una intervista a un gruppo di giornali europei tra cui Repubblica, di proprietà Gedi cioè del suo pard italiano, e manda un primo messaggio, direi morbido per il suo stile: “Abbiamo contatti regolari con il governo, abbiamo già detto che se l’elettrificazione non verrà sostenuta, ci sarà un impatto sulla crescita del mercato dell’auto elettrica e questo genererebbe altre conseguenze“.

Omicron avanza ancora, ma solo quello. E allora Tavares cambia tono e batte cassa. Il 18 gennaio dà un’altra intervista a un gruppo di quattro quotidiani europei tra cui il Corriere della Sera, ex possedimento Fiat, e parla crudo da manager, piaccia o non piaccia.

Ricorda che su Termoli “non abbiamo ancora concluso”, ricorda che in Italia ci sono costi di produzione troppo alti così come quelli dell’energia (sottolinea qui nel suo post Lapouquitousse), mentre sulla promessa di non chiudere fabbriche (quelle italiane sono in rosso, come ben spiega qui Diodato Pirone) per la prima volta agita spettri.

Testuale: “Chiudere significa mettere un lucchetto alla porta e mandare tutti a casa. Non l’abbiamo fatto. E se posso evitarlo, lo eviterò. Di solito mantengo le mie promesse, ma dobbiamo anche restare competitivi. Il futuro dei nostri siti dipenderà anche dai vincoli politici sulla decarbonizzazione in Europa e dalle sue conseguenze sul mercato dell’auto”.

Omicron avanza verso il picco, ma è Tavares ad arrivare al plateau: due giorni dopo questa intervista, Draghi il 20 vede (convoca?) Elkann a Palazzo Chigi. E non che non avesse altre urgenze tra corsa presidenziale e rumori di sciabole in Ucraina.

La campagna d’Italia di Tavares mi fa venire in mente quella di Napoleone del 1796: prova ad andare di corsa senza fare prigionieri nemmeno nel regno di Sardegna, ma al Quirinale è semaforo rosso. Merde alors, come non direbbe mai un portoghese vero.

@fpatfpat

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