Via Carlos Tavares, le citazioni logorano chi non le fa. Citare Maurizio Landini, segretario generale Cgil, per scambiare “paese” con “auto” è l’occasione ideale, nel giorno in cui l’amministratore delegato di Stellantis è stato costretto a lasciare e alla Volkswagen comincia uno sciopero che sarà un inedito per durezza. Perché tutto torna, dopo migliaia di licenziamenti annunciati nell’intera industria dell’auto come risposta a una crisi che, per una volta, viene da vicino.

Il caso Tavares è strettamente legato al caso Volkswagen. E si può dire la stessa cosa per i conti che improvvisamente non tornano anche a Mercedes, Nissan, Polestar, Ford (per citare i più esposti) e ai colossi tedeschi della componentistica, dove sono previsti solo in questo anno 50mila posti di lavoro in meno, mette in fila Automotive News Europe.

Tavares? L’ideologia corrente è che la colpa di tutto sia dell’auto elettrica e della decisione ideologica della precedente Commissione europea di fermare la produzione di motori endotermici dal 2035. I costruttori si sono resi complici tra stop and go (mentre Tesla e i cinesi giocano un’altra partita), i consumatori non hanno comprato con foga da black friday l’auto a zero emissioni (allo scarico), perché costa troppo e non sanno dove attaccarsi per la ricarica, i decisori politici non hanno fatto fino in fondo la loro parte, mettendo soldi insufficienti per una transizione epocale che cambia le nostre abitudini di vita quotidiana.

In mezzo, picchi ideologici come in Italia, dove il governo di destra spara a zero sulla mobilità elettrica un giorno sì e uno no, sottrae risorse agli incentivi che è stato costretto a stanziare per il settore dal precedente governo Draghi e addirittura li nasconde, ufficialmente con la scusa che li aveva chiesti in cambio di nulla quel Tavares, ormai cane morto.

L’ideologia corrente è che la crisi dei mercati dell’auto si affronta soltanto tagliando posti di lavoro e chiudendo fabbriche.

Voglio essere ideologico anch’io: basta rileggersi le trimestrali dei costruttori e le citazioni dei top manager alle assemblee di bilancio del 2022 e del 2023 – fino a quelle dei primi mesi di quest’anno sui risultati dell’anno precedente – per capire che a sbagliare strategie e obiettivi sono stati i vertici aziendali. Per altro, dopo aver fatto margini e cassa a danno dei consumatori con prezzi delle auto alle stelle, grazie ad effetti del post Covid.

Mi limito a citare ideologicamente i circa 40 milioni di compensi 2023 per Tavares, ora cacciato, o l’aumento del 15% dei dividendi agli azionisti per il 2023 pagati dal gruppo Volkswagen, dopo i 9,5 miliardi di dividendi straordinari elargiti per l’anno precedente.

A questo punto, rivoltare l’auto come un guanto sarebbe ideologicamente corretto: o si rema tutti dalla stessa parte se è l’elettrico – investimenti, politiche, culture, in una Europa fragile che rischia comunque di finire schiacciata fra trumpismo e comunismo cinese – oppure si rinuncia, perché restare in mezzo al guado (come si diceva una volta) è pericoloso. Certo, così si lascerebbe campo libero alla Cina, primo mercato mondiale dell’auto e dunque destinato a tirare per tutti, che non avrà ripensamenti per la sua ideologia al potere e, già che c’è, occupa all’estero anche gli spazi rimasti per i motori endotermici.

Il caso Tavares, che odiava più di altri l’auto elettrica e ha provato forzatamente a cambiare marcia andando pure a letto con il nemico, è paradigma di questi tempi.

@fpatfpat

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