Era inevitabile, ma l’inglobamento dei 50.000 dipendenti italiani di Fiat Chrysler nella rete di Stellantis Enlarged Europe guidata dall’ingegnere francese Maxime Picat sta scatenando un rimescolamento di carte di proporzione bibliche. Le notizie si susseguono a ritmo incalzante e meritano d’essere approfondite.

Sul piano produttivo, la 500 elettrica a Torino ha visto dimezzarsi  il lavoro ad un turno solo per via della scarsità delle batterie reperibili in Corea. Nel frattempo è partita la produzione del Ducato elettrico in Abruzzo e da lunedì 26 aprile è avviato a Modena l’assemblaggio in serie della spettacolare Maserati  MC20. A Melfi resta nell’aria il progetto di chiusura di una delle due linee di produzione mentre a Pomigliano è stato rinviata di sei mesi fino a marzo 2022 la produzione del crossover Alfa Romeo Tonale poiché il nuovo capo dell’Alfa, Jean Philippe Imparato, ha chiesto una revisione delle performance del modello.

Proprio  Imparato è forse finora la novità più forte introdotta da Stellantis: finalmente l’Alfa ha un responsabile che ci mette la faccia. I predecessori erano manager americani di cui non si conserva traccia. Imparato è invece tutti i giorni sui social, rilascia interviste a giornali italiani e stranieri, visita le fabbriche, non perde occasione per sottolineare che “Alfa ha bisogno soprattutto di una cosa: una strategia a 10 anni”. Nel frattempo finalmente il marchio del Biscione ha trovato casa negli uffici dell’ex officina 83 di Mirafiori.

Ma è proprio a Torino che arriva il vero rumore di sottofondo dell’operazione Stellantis: quello ovattato e al tempo stesso stridente della lotta di potere. Lo sbarco dei francesi sta infatti rompendo equilibri e leggi non scritte sedimentati nei 14 anni di regno assoluto di Sergio Marchionne.

Stavolta però non si tratta solo del riposizionamento di qualche decina di manager attaccati alle rispettive posizioni. Né la chiave di lettura di quanto sta accadendo nell’ex-Fiat si può ridurre alla perdita dell’italocentricità di un impero piemontese con “colonie” più brillanti della madre-patria come quella americana e quella brasiliana.

No. La questione Stellantis ripropone all’Italia un tema complesso: l’auto può aiutare l’Italia a riprendere la strada della crescita? E va in questa direzione l’adozione del modello produttivo francese che è più semplice di quello delle fabbriche Fiat?

Già, perché Sergio Marchionne è stato molto combattuto in Italia ma l’arrivo degli uomini di Carlos Tavares e la prima ondata di taglio dei costi stanno facendo emergere un paradosso: molte fabbriche italiane perdono soldi ma sono tecnologicamente all’avanguardia e il loro modello di lavoro, costruito intorno al sistema produttivo World Class Manufacturing e alla ergonomia computerizzata del codice Ergo-Uas, è molto più sofisticato e coinvolgente per i dipendenti  di quello in auge negli stabilimenti francesi.

Da noi ogni movimento delle linee di montaggio è calcolato nella sua durata e nella fatica che determina. Non solo, ma anche il personale addetto anche a mansioni semplici è addestrato al “Cost deployement”, ovvero il metodo Wcm che insegna a calcolare i tempi delle lavorazioni e a progettarle per risparmiare tempo e denaro. Fantascienza per i francesi. Nella fabbriche Fca ci sono le Academy, ovvero delle vere e proprie scuole della manifattura dove a turno operai e capi si scambiano ruoli e informazioni su come migliorare il lavoro. E infine il contestatissimo contratto aziendale ex-Fca e i suoi premi produttivi annuali sono basati proprio sulla filosofia del miglioramento continuo del Wcm.

Per quanto semplificato dopo la scomparsa di Marchionne è ragionevole buttar via questo patrimonio che ormai fa parte del Dna delle fabbriche d’auto italiane? Questo è il nodo della partita avviata il 15 aprile dal primo incontro fra i sindacati italiani e la nuova dirigenza di Stellantis Enlarged Europe. Un incontro interlocutorio ma per niente tranquillizzante per i sindacati. Fra i 7.000 dipendenti di Melfi, finora fiore all’occhiello di Fca Italy con le sue due Jeep, Renegade e Compass, esportate in tutto il mondo, la preoccupazione si taglia con il coltello.

E non solo in fabbrica. Il consiglio regionale della Basilicata sembra essersi improvvisamente accorto della strategicità per il territorio  di una fabbrica che è arrivata a garantire mezzo punto di Pil all’Italia (8 miliardi di euro). Il consiglio regionale ha dedicato una seduta straordinaria al destino dello stabilimento lucano approvando all’unanimità un documento dettagliato per offrire la massima collaborazione.

La Basilicata si spinge a proporre a Stellantis di pagare una parte della sua bolletta energetica e si dice disponibile a sciogliere nodi decennali come il collegamento ferroviario diretto con l’Alta Velocità Bari-Napoli. Forse ricordando che costrinse l’esasperata Fiat dell’Avvocato a costruirsi in proprio l’attuale bretella ferroviaria con le ferrovie ordinarie.

Fra le tante proposte sensate della Regione Basilicata ce n’è una che qui merita un supplemento di riflessione: la creazione di una piccola task-force di esperti presso il ministero dello Sviluppo che si dedichi al tema della crescita dell’auto made in Italy. Si parla tanto a vanvera di un ingresso dello Stato italiano nell’azionariato di Stellantis ma nessuno che dica per fare cosa. Questo è il punto: non c’è da fare una guerra all’invasore francese, c’è da proporre idee di sviluppo a difesa del lavoro italiano di qualità. Sapendo che Tavares non è tipo da perdere tempo.

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