All’auto italiana la Befana ha riservato qualche dolce e molto carbone. I primi dati sul 2022, appena diffusi, parlano da soli. Dal monitoraggio Fim-Cisl  sui sei stabilimenti di assemblaggio Stellantis ex-Fca (Mirafiori, Modena, Cassino, Pomigliano, Melfi e Atessa) si evince che l’anno scorso, dopo quattro anni di emorragia, la produzione di vetture e furgoni made in Italy si è stabilizzata a quota 685.000 (+1,8% sul 2021).

Sollievo ma niente trionfalismi. Restiamo lontani dal milione di pezzi faticosamente traguardato da Sergio Marchionne nel 2017 mentre le immatricolazioni 2022 di auto nuove in Italia sono state 1,3 milioni, il doppio della produzione. Dunque la bilancia commerciale delle quattro ruote (all’opposto della componentistica) pende a favore dell’import in modo squilibrato. Nel dettaglio, la scarsità di microchip (e di altri componenti) ha tagliato le gambe ai mitici furgoni Ducato “made in Abruzzo” scesi da 300 a 200.000 e boccheggia il mega-plant di Melfi che potrebbe sfornare 400.000 pezzi mentre si è fermato a 164.000. In compenso, va come un treno la 500 elettrica assemblata a Torino (77.000 esemplari) e le Maserati stanno tornando a far lievitare il fatturato Stellantis con la Grecale a Cassino (13.600)  e la sportiva MC20 a Modena centellinata in 1.250 costosissimi pezzi.

Le tabelline della Fim contengono poi un dato prezioso: gli occupati dei sei stabilimenti (attenzione, delle sole fabbriche di assemblaggio finale dei veicoli) a fine 2022 erano 23.885, appena 900 in meno rispetto ai 24.735 del dicembre 2021. Poiché gli occupati complessivi ex Fca Italy sono scesi di 5.000 unità ne emerge un segnale interessante: l’apparato produttivo dell’auto italiana è più asciutto ma è rimasto in campo.

Già, ma per fare cosa? Qui il discorso si fa spinoso. In contemporanea ai dati Fim, sono usciti anche quelli delle immatricolazioni in alcuni grandi paesi Ue. Vi si legge un segno doloroso: la crisi del marchio Fiat. Il mercato annuale italiano si è contratto del 10% ma Fiat (marchio) ha venduto il 20% in meno perdendo ben 50.000 immatricolazioni. Anche il mercato francese ha bruciato grosso modo il 10% delle vendite complessive ma lì Fiat è scesa del 25%. In Spagna, infine, di fronte ad un calo del 5,4% delle immatricolazioni Fiat è arretrata dell’11,8%.

Tirare somme parziali è sempre un’operazione grossolana, ma è evidente che, a due anni dalla nascita di Stellantis, l’Italia dell’auto è ancora in mezzo al guado nonostante  (con la defezione di qualche pezzo grosso del manufacturing come Francesco Cianca passato a Mercedes) ora sia al traino degli ingegneri francesi ex-Peugeot guidati da Carlos Tavares.

Perché? E su che prospettive può contare l’auto made in Italy? Va subito detto che la chiave di lettura legata allo sciovinismo transalpino (e al colonialismo economico di Parigi verso l’Italia) appare debole. E’ un fatto che la rete produttiva italiana di Fca, al contrario di quelle americana e brasiliana e nonostante la cura Marchionne, si è presentata all’appuntamento con Tavares con i conti in profondo rosso ed è dunque alle prese con una ristrutturazione profondissima. A frenare  il marchio Fiat più che la dirigenza transalpina è poi il complicato passaggio all’elettrico e alle piattaforme Stellantis di derivazione Psa. Per trasformare strutture complesse serve tempo. Ma resta il fatto che in Italia, 500e a parte, si continuano a produrre troppe poche auto e che il marchio Fiat, leva per fare numeri e posti di lavoro assieme agli utili come accade per Peugeot e Opel, è troppo appannato nell’universo Stellantis. Almeno in Europa.

Basta fare un confronto superficiale per verificare che la gamma Fiat in Italia è articolata su appena cinque modelli mentre in Brasile, dove è nettamente il marchio più venduto ed è guidato da un manager italiano come Antonio Filosa, la rete commerciale del Lingotto dispone non solo di ben quattro utilitarie e di due pick-up ma persino di un suv coupé come il Fastback.

Non tutto il quadro produttivo di Stellantis Italia è negativo. Fa ben sperare l’avvio della mega-fabbrica di batterie in Molise, preferito alla Spagna dove pure Stellantis sforna più auto che in Italia. L’anno prossimo inizieranno a uscire da Melfi i primi esemplari di quattro vetture elettriche medie fabbricate per Peugeot, Citroen, Opel e Lancia. E il ritorno di Lancia è certamente un bene per l’auto made in Italy. Anche Alfa Romeo dà segni di risveglio con la Tonale a Pomigliano in attesa dei modelli che sta disegnando Alejandro Mesonero-Romanos appositamente strappato da Tavares alla Renault. Per il marchio Fiat, poi, alcune novità stanno maturando all’estero. In Algeria è in costruzione una fabbrica per modelli Fiat non ancora specificati e anche dalla Polonia arriverà un mini-Suv elettrico col marchio torinese. Veicoli commerciali Fiat, infine, escono già ora dalle fabbriche Stellantis di Vigo, in Spagna, e  di Luton, in Gran Bretagna.

In questo quadro, resta sospesa la domanda chiave per imprese e sindacati ma soprattutto per il governo Meloni alle prese con un rapporto complesso con la Francia di Emmanuel Macron: in che tempi l’Italia può tornare a produrre più di un milione di veicoli, ovvero una quantità di auto almeno pari a quelle che assorbe il mercato interno? E Tavares che ruolo intende assegnare ad un alfiere del made in Italy come Fiat? 

Giova ricordare che il 18 ottobre 2022 in occasione del Salone di Parigi Macron ha pubblicamente fissato due obiettivi industriali per le auto da assemblare in Francia: un milione di modelli completamente elettrificati nel 2027 e due milioni nel 2030. Sarà pure dirigismo di stampo sovietico ma, sinceramente: “che invidia!”.

@diodatopirone

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